Anassimandro
Nov 8, 2014 23:01:25 GMT
Post by A. Rossi on Nov 8, 2014 23:01:25 GMT
Anassimandro
By Nox Cervi
“Anassimandro di Mileto, figlio di Prassiade, dice che principio delle cose è l’àpeiron: da esso infatti tutto si genera ed in esso tutto perisce.”
[Aezio, de plac. I, 3, 3. D.K. A 14]
Concittadino, contemporaneo e forse anche discepolo di Talete fu lo ionico Anassimandro di Mileto.
Questi nacque nel 610-609 a.C.; nel secondo anno della 58°, quando scoprì l’obliquità dello zodiaco, aveva 64 anni e morì poco tempo dopo.
Anch’egli, come il suo predecessore nel quadro della filosofia occidentale delle origini, fu politico ed astronomo.
A lui è attribuita l’opera in prosa “Intorno alla natura”, che segna una tappa fondamentale nel campo della speculazione cosmologica della filosofia ionica.
Egli fu il primo a chiamare quella realtà primordiale e sottostante (che per Talete era l’acqua) principio, arché, e “diceva che esso non è né l’acqua né alcun altro di quelli definiti elementi, ma un’altra natura infinita dalla quale prendono origine tutti gli universi e i cosmi che sono in essi [nb. Per i greci l’universo è la natura fisica così com’è nella sua totalità, mentre il cosmo è un complesso di realtà fisiche ordinate ed armoniose in un sistema comune.].”(1)
Dunque, Anassimandro individua l’arché in qualcosa di indefinito, infinito (“àpeiron”, ovvero “senza-fine”, “senza-limite”, “senza-termine”, da “a-péras”).
Ma perché?
Per i greci il finito era perfetto, dunque perché qualcosa di infinito ed indefinito?
L’àpeiron venne (probabilmente) concepito da Anassimandro NON come una sorta di miscuglio degli elementi presenti nella physis, nella natura, già presenti in esso dotati tutti delle qualità che sono loro proprie, ma piuttosto come una sorta di materia all’interno della quale gli elementi sono sì presenti, ma privi delle loro caratteristiche.
L’àpeiron, dunque, è infinito poiché contiene in sé tutto ciò che esiste, ed è indefinito, in quanto, essendo privo di caratteristiche, può possederle e generarle tutte.
Dall’indefinito si genera quindi il definito, ma dall’infinito?
La natura stessa dell’àpeiron, la sua infinità, indusse lo ionico Anassimandro ad ammettere l’infinità dei mondi: essi sono infiniti, però, non solo successivamente nello spazio, ma anche contemporaneamente, giacché l’àpeiron si estende aldilà non di un solo mondo, ma di tutti quelli che esistono.
E la terra, che Anassimandro concepisce come un cilindro, si trova sospesa nel mezzo del mondo, senza essere sostenuta da nulla, in quanto essa è ad uguale distanza rispetto ad ognuna delle parti del mondo, non venendo così sollecitata a muoversi da alcunché.
Questi mondi, inoltre, stando alle testimonianze di Ippolito, Aezio, Plutarco ed altri, non sono anch’essi infiniti, anzi: il loro tempo è “determinato per la nascita, l’esistenza e la morte”(2), essi nascono e “periscono poi di nuovo in ciò da cui si sono originati”(3) e la “distruzione e molto prima la generazione dell’àpeiron è determinata dal loro eterno processo ciclico.”(4)
Citando lo storico Plutarco: “Dice che la terra è di forma cilindrica e che la stessa ha un’altezza pari a un terzo della larghezza. Afferma che dall’eterno caldo e freddo, atto a generare, alla nascita di questo cosmo, si è separato una specie di sfera di questa fiamma e si è posta intorno all’aria che circonda la terra, come una corteccia intorno all’albero: questa spezzatasi e raccoltesi alcune sue parti in cerchi, si è formato il sole, la luna e le stelle.”(5)
Ed ecco che Plutarco stesso ci rivela come le cose nascono dall’àpeiron: attraverso la separazione.
L’arché di Anassimandro è, difatti, oltre che infinito ed indefinito, anche percorso da un continuo ed eterno movimento, incessante, in virtù del quale da esso si separano i contrari (secco-umido, caldo-freddo, luce-tenebra, ecc.) ed è questo stesso movimento a ripristinare la condizione d’omogeneità precedente la separazione.
Per Anassimandro, però, la separazione dall’àpeiron comportava il subentrare della diversità e della rottura dell’unità là dove vi erano totalità ed omogeneità, e per questo motivo “tutti gli esseri devono, secondo l’ordine del tempo, pagare gli uni agli altri il fio della loro ingiustizia”(6), ovvero la nascita.
Lo ionico dunque riprendeva quella legge di giustizia universale sostenuta da Solone tramutandola in una sorta di legge cosmica regolatrice la nascita e la morte di tutto ciò che dall’àpeiron nasce, e dunque dei mondi.
Anassimandro non si limitò ad interrogarsi sulla natura e l’origine di ciò che è, ma si soffermò anche ad elaborare una teoria, una sorta di primitiva ipotesi evoluzionistica, sulla nascita e sull’evoluzione dell’uomo.
Citando: “Ad Anassimandro di Mileto sembrò che dall’acqua e dalla terra riscaldate fossero nati i pesci o esseri viventi molto simili ai pesci; che in questi avessero vissuto gli uomini ed i feti, ivi chiusi fino alla pubertà; che infine, squarciatisi quelli, ne uscirono uomini e donne che potevano già nutrirsi.”(7)
Dunque, per Anassimandro gli uomini ebbero origine da altri animali, in quanto incapaci di nutrirsi da soli: nacquero dentro i pesci, furono nutriti, e, una volta raggiunta l’autosufficienza, ne uscirono, prendendo terra.
Anche per lo ionico successore di Talete, quindi, “i primi esseri viventi furono generati nell’umido”(8).
Passiamo ora, attraverso svariate citazioni, ad esaminare le teorie astronomiche di Anassimandro di Mileto.
“Essa [la terra] ha la forma curva, sferica, somigliante ad una colonna di pietra: delle superfici l’una l’abitiamo, l’altra è dalla parte opposta. Le stelle sono sfere di fuoco staccatesi dal fuoco del cosmo, circondate dall’aria. In esso sono come dei fori per i soffi, a forma di flauto, attraverso i quali appaiono le stesse; ostruendosi tali fori si producono le eclissi. La luna appare a volte piena, altre decrescente, in relazione alla apertura e chiusura dei fori... I venti si originano dai soffi molto sottili che si staccano dall’aria ogni qualvolta raccoltisi si mettono in moto; le piogge dall’evaporazione che viene su dalla terra per influsso del sole. I fulmini [si generano] ogni qual volta il vento, incontrando le nuvole, le squarcia.”(9)
“Anassimandro dice che il vento è una corrente d’aria costituita da particelle più leggere ed umide presenti in essa, messe in moto ed evaporanti sotto l’azione del sole.”(10)
“Anassimandro riconduce tutti i fenomeni atmosferici al vento. I tuoni, dice, sono il fragore della nube che si squarcia. E perché sono ineguali? Perché il vento è ineguale. Perché tuona a ciel sereno? Perché allora il vento si apre una strada attraverso un’aria densa che si lacera. Perché talvolta tuona ma non lampeggia? Perché il vento, troppo debole, non diventa fiamma ma solo rumore. Che cos’è allora il lampo? Un colpo d’aria che si disperde e si disgrega liberando un fuoco debole che altrimenti non sarebbe potuto uscire. Ed il fulmine? E’ una corrente di vento molto violenta e molto densa.”(11)
“I primi geografi, dopo Omero, furono, dice Eratostene, due: Anassimandro, discepolo e concittadino di Talete, ed Ecateo di Mileto…”(12)
(1): Simplicio, Physica, 24, 13. D.K. A 9
(2): Ippol. Ref. I, 6, 1-7. D.K. A 11
(3): Aezio, de plac. I, 3, 3. D.K. A 14
(4): Plutarco, Strom, 2. D.K. A 10
(5): Plutarco, Strom, 2. D.K. A 10
(6): Anassimandro, frammento 1
(7): Censor. 4, 7. D.K. A 30
(8): Aezio, V, 19, 4. D.K. A 30
(9): Ippol. Ref. I, 6, 1-7. D.K. A 11
(10): Aezio, III, 7, 1. D.K. A 24
(11): Seneca, Nat. Quaest., II, 18. D.K. A 23
(12): Strabo. I, p. 7
[Citazioni –eccetto la n. 6- contenute ne “Il naturalismo presocratico” a cura di F. Guglielmotti.]
By Nox Cervi
“Anassimandro di Mileto, figlio di Prassiade, dice che principio delle cose è l’àpeiron: da esso infatti tutto si genera ed in esso tutto perisce.”
[Aezio, de plac. I, 3, 3. D.K. A 14]
Concittadino, contemporaneo e forse anche discepolo di Talete fu lo ionico Anassimandro di Mileto.
Questi nacque nel 610-609 a.C.; nel secondo anno della 58°, quando scoprì l’obliquità dello zodiaco, aveva 64 anni e morì poco tempo dopo.
Anch’egli, come il suo predecessore nel quadro della filosofia occidentale delle origini, fu politico ed astronomo.
A lui è attribuita l’opera in prosa “Intorno alla natura”, che segna una tappa fondamentale nel campo della speculazione cosmologica della filosofia ionica.
Egli fu il primo a chiamare quella realtà primordiale e sottostante (che per Talete era l’acqua) principio, arché, e “diceva che esso non è né l’acqua né alcun altro di quelli definiti elementi, ma un’altra natura infinita dalla quale prendono origine tutti gli universi e i cosmi che sono in essi [nb. Per i greci l’universo è la natura fisica così com’è nella sua totalità, mentre il cosmo è un complesso di realtà fisiche ordinate ed armoniose in un sistema comune.].”(1)
Dunque, Anassimandro individua l’arché in qualcosa di indefinito, infinito (“àpeiron”, ovvero “senza-fine”, “senza-limite”, “senza-termine”, da “a-péras”).
Ma perché?
Per i greci il finito era perfetto, dunque perché qualcosa di infinito ed indefinito?
L’àpeiron venne (probabilmente) concepito da Anassimandro NON come una sorta di miscuglio degli elementi presenti nella physis, nella natura, già presenti in esso dotati tutti delle qualità che sono loro proprie, ma piuttosto come una sorta di materia all’interno della quale gli elementi sono sì presenti, ma privi delle loro caratteristiche.
L’àpeiron, dunque, è infinito poiché contiene in sé tutto ciò che esiste, ed è indefinito, in quanto, essendo privo di caratteristiche, può possederle e generarle tutte.
Dall’indefinito si genera quindi il definito, ma dall’infinito?
La natura stessa dell’àpeiron, la sua infinità, indusse lo ionico Anassimandro ad ammettere l’infinità dei mondi: essi sono infiniti, però, non solo successivamente nello spazio, ma anche contemporaneamente, giacché l’àpeiron si estende aldilà non di un solo mondo, ma di tutti quelli che esistono.
E la terra, che Anassimandro concepisce come un cilindro, si trova sospesa nel mezzo del mondo, senza essere sostenuta da nulla, in quanto essa è ad uguale distanza rispetto ad ognuna delle parti del mondo, non venendo così sollecitata a muoversi da alcunché.
Questi mondi, inoltre, stando alle testimonianze di Ippolito, Aezio, Plutarco ed altri, non sono anch’essi infiniti, anzi: il loro tempo è “determinato per la nascita, l’esistenza e la morte”(2), essi nascono e “periscono poi di nuovo in ciò da cui si sono originati”(3) e la “distruzione e molto prima la generazione dell’àpeiron è determinata dal loro eterno processo ciclico.”(4)
Citando lo storico Plutarco: “Dice che la terra è di forma cilindrica e che la stessa ha un’altezza pari a un terzo della larghezza. Afferma che dall’eterno caldo e freddo, atto a generare, alla nascita di questo cosmo, si è separato una specie di sfera di questa fiamma e si è posta intorno all’aria che circonda la terra, come una corteccia intorno all’albero: questa spezzatasi e raccoltesi alcune sue parti in cerchi, si è formato il sole, la luna e le stelle.”(5)
Ed ecco che Plutarco stesso ci rivela come le cose nascono dall’àpeiron: attraverso la separazione.
L’arché di Anassimandro è, difatti, oltre che infinito ed indefinito, anche percorso da un continuo ed eterno movimento, incessante, in virtù del quale da esso si separano i contrari (secco-umido, caldo-freddo, luce-tenebra, ecc.) ed è questo stesso movimento a ripristinare la condizione d’omogeneità precedente la separazione.
Per Anassimandro, però, la separazione dall’àpeiron comportava il subentrare della diversità e della rottura dell’unità là dove vi erano totalità ed omogeneità, e per questo motivo “tutti gli esseri devono, secondo l’ordine del tempo, pagare gli uni agli altri il fio della loro ingiustizia”(6), ovvero la nascita.
Lo ionico dunque riprendeva quella legge di giustizia universale sostenuta da Solone tramutandola in una sorta di legge cosmica regolatrice la nascita e la morte di tutto ciò che dall’àpeiron nasce, e dunque dei mondi.
Anassimandro non si limitò ad interrogarsi sulla natura e l’origine di ciò che è, ma si soffermò anche ad elaborare una teoria, una sorta di primitiva ipotesi evoluzionistica, sulla nascita e sull’evoluzione dell’uomo.
Citando: “Ad Anassimandro di Mileto sembrò che dall’acqua e dalla terra riscaldate fossero nati i pesci o esseri viventi molto simili ai pesci; che in questi avessero vissuto gli uomini ed i feti, ivi chiusi fino alla pubertà; che infine, squarciatisi quelli, ne uscirono uomini e donne che potevano già nutrirsi.”(7)
Dunque, per Anassimandro gli uomini ebbero origine da altri animali, in quanto incapaci di nutrirsi da soli: nacquero dentro i pesci, furono nutriti, e, una volta raggiunta l’autosufficienza, ne uscirono, prendendo terra.
Anche per lo ionico successore di Talete, quindi, “i primi esseri viventi furono generati nell’umido”(8).
Passiamo ora, attraverso svariate citazioni, ad esaminare le teorie astronomiche di Anassimandro di Mileto.
“Essa [la terra] ha la forma curva, sferica, somigliante ad una colonna di pietra: delle superfici l’una l’abitiamo, l’altra è dalla parte opposta. Le stelle sono sfere di fuoco staccatesi dal fuoco del cosmo, circondate dall’aria. In esso sono come dei fori per i soffi, a forma di flauto, attraverso i quali appaiono le stesse; ostruendosi tali fori si producono le eclissi. La luna appare a volte piena, altre decrescente, in relazione alla apertura e chiusura dei fori... I venti si originano dai soffi molto sottili che si staccano dall’aria ogni qualvolta raccoltisi si mettono in moto; le piogge dall’evaporazione che viene su dalla terra per influsso del sole. I fulmini [si generano] ogni qual volta il vento, incontrando le nuvole, le squarcia.”(9)
“Anassimandro dice che il vento è una corrente d’aria costituita da particelle più leggere ed umide presenti in essa, messe in moto ed evaporanti sotto l’azione del sole.”(10)
“Anassimandro riconduce tutti i fenomeni atmosferici al vento. I tuoni, dice, sono il fragore della nube che si squarcia. E perché sono ineguali? Perché il vento è ineguale. Perché tuona a ciel sereno? Perché allora il vento si apre una strada attraverso un’aria densa che si lacera. Perché talvolta tuona ma non lampeggia? Perché il vento, troppo debole, non diventa fiamma ma solo rumore. Che cos’è allora il lampo? Un colpo d’aria che si disperde e si disgrega liberando un fuoco debole che altrimenti non sarebbe potuto uscire. Ed il fulmine? E’ una corrente di vento molto violenta e molto densa.”(11)
“I primi geografi, dopo Omero, furono, dice Eratostene, due: Anassimandro, discepolo e concittadino di Talete, ed Ecateo di Mileto…”(12)
(1): Simplicio, Physica, 24, 13. D.K. A 9
(2): Ippol. Ref. I, 6, 1-7. D.K. A 11
(3): Aezio, de plac. I, 3, 3. D.K. A 14
(4): Plutarco, Strom, 2. D.K. A 10
(5): Plutarco, Strom, 2. D.K. A 10
(6): Anassimandro, frammento 1
(7): Censor. 4, 7. D.K. A 30
(8): Aezio, V, 19, 4. D.K. A 30
(9): Ippol. Ref. I, 6, 1-7. D.K. A 11
(10): Aezio, III, 7, 1. D.K. A 24
(11): Seneca, Nat. Quaest., II, 18. D.K. A 23
(12): Strabo. I, p. 7
[Citazioni –eccetto la n. 6- contenute ne “Il naturalismo presocratico” a cura di F. Guglielmotti.]