CAPITOLO 3: i cinque paradossi.
Jul 11, 2014 17:42:54 GMT
Post by Kurtz Rommel on Jul 11, 2014 17:42:54 GMT
In questo nuovo capitolo, inizierò a parlare dei cosiddetti “cinque paradossi” del Satanismo Gnostico.
Martin, nell’arco della sua non lunghissima e bruscamente interrotta carriera di Satanista, sintetizzò il pensiero gnostico sotto forma di regole, volutamente formalizzate sotto forma di paradossi e scritte come veri e propri dogmi. Vediamoli tutti e cinque, anche se verranno affrontati nei prossimi articoli.
“1: La Conoscenza deriva dall’ignoranza.
2: la Libertà deriva dalla disciplina.
3: la Giustizia deriva dalla ribellione.
4: la Verità deriva dalle bugie.
5: il Libero Arbitrio deriva dalla fede cieca.”
2: la Libertà deriva dalla disciplina.
3: la Giustizia deriva dalla ribellione.
4: la Verità deriva dalle bugie.
5: il Libero Arbitrio deriva dalla fede cieca.”
Perché questa impostazione? Se nel Satanismo il dogma viene visto, in generale, come qualcosa da rifuggire e contestare, in quanto troppo limitante, per quale motivo Martin ha deciso di impostare il suo pensiero in questo modo, in apparenza totalmente in contrasto con la mentalità satanista?
La risposta è abbastanza semplice, anche se a prima vista potrebbe non sembrarlo: innanzitutto molto fece la sua formazione professionale, tipicamente militare, quindi condizionata dalla presenza di regolamenti e procedure a cui sottostare. Questo potrebbe far storcere il naso a molti benpensanti, abituati a considerare in modo distorto la disciplina e ad immaginarsi un soldato come una specie di marionetta senza cervello, che scatta sull’attenti in modo ridicolo ed esegue ordini assurdi senza farsi domande.
Questo modo di vedere è totalmente sbagliato, soprattutto oggi: regolamenti e procedure servono ai loro utilizzatori per produrre dei risultati, con la massima efficacia e con il minimo danno.
Immaginiamoci un pilota militare che non rispetti un piano di volo: nel migliore dei casi manda a monte una missione intera, nel peggiore viene abbattuto. Allo stesso modo, un operatore di sicurezza che non applichi le regole di ingaggio in modo corretto rischia di provocare una catastrofe, mettendo a rischio la vita del suo cliente inutilmente.
Questi pensieri, che nulla lasciano a retorica o propaganda, ma si riflettono su un piano puramente tecnico, hanno portato, insieme ad un concetto che vedremo in seguito, Martin ad elaborare un modo di esporre le sue idee e di organizzare il suo pensiero estremamente schematico e rigido, quanto più possibile chiaro e privo di possibilità di dubbio o fraintendimento. I suoi scritti, non per nulla, sono impostati sulla falsariga di un manuale da campo.
Sintetizzando il suo pensiero a riguardo, avere delle regole da rispettare innanzitutto riduce le possibilità di sbaglio ed improvvisazione. Se qualcosa è già scritto, basta seguirlo e ci sarà poco da sbagliare.
In secondo luogo, e qua si vede già la “logica del paradosso” tipica sua, una regola da seguire può essere in qualche occasione infranta.
Mi spiego meglio: un manuale tecnico, pure dando regole e procedure, non può prevedere tutte le varie situazioni in cui una persona si può trovare. Quindi studiarlo ed impararlo è indispensabile, dato che certe cose non cambiano: ma allo stesso modo si deve avere la prontezza mentale necessaria per non limitarsi ad applicarlo in modo meccanico. Si deve essere in grado di analizzare una situazione, capirla, adattarcisi alla svelta e trovare una soluzione, anche non da manuale, ma funzionale ed efficace.
La mentalità “da manuale” serve per avere un metodo, senza disperdersi in tentativi e prove inutili, che non porterebbero ad altro se non a perdere tempo e sprecare risorse: ma non deve diventare un modo per non pensare.
Le parole di Martin a riguardo sono, come sempre, essenziali e dirette, ma chiarissime nel loro significato.
“Se io ti dico che è così, te lo dico perché è così e basta… se non ci credi non me ne frega nulla, sono cazzi tuoi, ma per non crederci devi avere dei dubbi, mi spiego? E se non provi una regola, se non ragioni come questa regola ti impone, se non senti i suoi fottuti limiti, mi spieghi come cazzo fai ad averli questi dubbi?”
Effettivamente è vero: provare una regola, ovvero agire secondo ciò che impone, serve a capire sia cosa dice, sia a chiedersi se non possa essere migliorata, superata o se sia ancora valida.
Quindi una persona deve avere una base da cui partire, schematizzata e regolamentata, ma deve essere in grado di adattarsi, capire, analizzare e decidere in modo autonomo.
D’altra parte questo modo di pensare è stato adottato anche da molti altri nomi, più o meno grandi, della storia umana: scienziati, letterati, artisti, tutte persone che hanno infranto i limiti più diversi.
Se Einstein ha detto che “Tutti sanno che una cosa è impossibile da realizzare, finché arriva uno sprovveduto che non lo sa e la inventa”, il motivo è chiaro: i limiti mentali, quindi per estensione i dogmi, sono un blocco da superare. Anche il Generale Schwarzkopf si è espresso in modo simile: “Ho avuto ufficiali competenti che, di fronte ad un plotone, non vedevano altro che un plotone, un gruppo di soldati. Ma ho avuto anche leader che di fronte ad un plotone vedevano 44 individui, ciascuno dei quali aveva aspirazioni e sentimenti, ciascuno dei quali voleva vivere, ciascuno dei quali voleva far bene”.
Anche in queste parole si trova un senso profondo: una persona competente, ma incapace di vedere oltre le regole, non andrà mai oltre un certo limite, e magari non ne avrà neanche mai il desiderio. Gli ufficiali in grado di vedere oltre il semplice plotone, invece, sono quelli che, proprio per la loro maggior lungimiranza e capacità di analizzare, di conoscere, di capire, hanno saputo utilizzare non solo un plotone ma un gruppo di individui, ognuno con le sue qualità e pregi. Questi ufficiali hanno quindi saputo analizzare la situazione e le risorse a loro disposizione, vedere tutto sotto un’ottica diversa anziché limitarsi ad applicare delle regole e delle procedure, hanno saputo infrangere i limiti di queste regole e portare, grazie a capacità e pregi non immediatamente visibili e non citati nelle procedure suddette, risultati migliori sotto ogni aspetto.
Risultati ottenuti quindi in modo non ortodosso, ma funzionale ed innovativo, comprendenti anche il non perdere inutilmente delle vite umane…
Il senso del dogmatismo apparente di Martin è uno, ed è molto chiaro.
La mente umana ha l’ambizione, la trasgressione, la voglia di andare oltre e più in là, sempre e comunque, come sua condizione innata. La si chiama “spinta evolutiva”, oppure “spirito di adattamento”, la si definisce “istinto di sopravvivenza”, la si giustifica con una miriade di motivazioni sociali, psicologiche, la si spiega nei modi più diversi. Lo stesso LaVey l’ha identificata come la nostra forza più interiore e naturale, spiegandola con l’archetipo di Satana. Il fumettista Go Nagai, in quel suo capolavoro che è il Devilman, l’ha descritta in modo chiaro ed accurato, come il “demone” presente in ognuno di noi, cioè la nostra parte più selvaggia ed istintiva: una parte di noi che è inutile cercare di esorcizzare, ma con cui si deve imparare a convivere, per il puro e semplice fatto che esorcizzarla è impossibile. La si può soffocare sotto strati e strati di regole, leggi, stati sociali, moralismi, convenzioni ed abitudini, ma rimarrà sempre lì, pronta ad uscire al momento giusto.
Tornando a LaVey, ha detto chiaramente che dentro di noi c’è questa forza, con la sua famosa frase: “There is a beast in man that should be exercised, not exorcised.”
Il senso dei cinque paradossi di Martin è esattamente lo stesso, anche se dà molta più importanza alla reale necessità di un limite, rispetto alle parole (in effetti più generiche) dette da Einstein, Schwarzkopf e LaVey: la mente umana, per evolversi, ha bisogno di regole e leggi che le impongano dei limiti.
Ha bisogno di limiti da infrangere, superare e rendere obsoleti, così come ha bisogno di nuovi limiti davanti a cui trovarsi successivamente, per superarli e ricominciare. Questo perché la mente umana ha, come sua condizione innata e naturale, la trasgressione, il bisogno di superare dei limiti. Se la mente non ha un limite, semplicemente si atrofizza. In effetti è vero: molto spesso si vedono persone ricche e con tutto a loro totale disposizione diventare infelici ed annoiate, mentre altre con molti meno mezzi conducono una vita ben più intensa e soddisfacente, proprio per il gusto della sfida, del superare le difficoltà (cioè veri e propri limiti) ed ottenere dei risultati. Senza regole, quindi, non si possono ottenere risultati: e questo sia seguendole, sia superandole. Il concetto cardine dei cinque paradossi di Martin è esattamente questo. Avere dei limiti da superare, delle regole da subire e provare sulla propria pelle, delle difficoltà quindi da affrontare, pone la mente umana nella sua più naturale condizione. La stimola a trasgredire, quindi ad analizzare i limiti che si trova davanti per capire come superarli, in modo logico ma anche creativo.
La trasgressione, cioè la condizione naturale in cui il talento personale si può esprimere, ha origine solo da un limite di qualunque tipo, senza il quale la mente non può avere lo stimolo a studiare, capire ed evolversi.
Ed è solo con lo studio, l’analisi ed il ragionamento che la mente umana, e soprattutto l’essenza umana, cioè la parte divina insita in ognuno di noi, può comprendere sempre meglio il funzionamento dell’universo, la sua condizione, le sue leggi e raggiungere lo stato di illuminazione necessario per tornare una divinità.